Giulia Mattioli, La clausola di prelazione statutaria impropria nelle società a partecipazione pubblica.

Sommario:

1. Premessa: l’art. 10, c. 2, d.lgs. n. 175/2016 (Tusp) e l’emersione delle  questioni interpretative in tema di prelazione.
2. L’interpretazione “combinatoria” nella conciliazione della clausola di prelazione con le procedure di evidenza pubblica.
3. La giurisprudenza “normativa” nell’affermazione del primato del diritto comune a fronte della prelazione statutaria impropria.
4. La “dialettica” tra le due posizioni dell’invalidità e della validità della clausola statutaria di prelazione impropria: alcuni rilievi critici.

Abstract:

The clause formulated in paragraph 2 of art. 10 of the TUSP, regarding the right of pre-emption, posed the problem of verifying whether and in what terms the public tender procedures are compatible with this kind of statutory clauses, which not only affect the free circulation of shareholdings, but actually prevent a competitive comparison. A first “combinatorial” interpretation led to the belief that the statutory pre-emption clauses are inapplicable. This interpretation is now contradicted by a recent opposite jurisprudential orientation – which considers the pre-emption clauses, whether proper or improper, valid –, that constitutes an opportunity to re-examine, after the adoption of legislative decree no. 175/2016, the theme of public intervention in economy.

La clausola di salvezza formulata al c. 2 dell’art. 10 del TUSP, con cui si prevede che in caso di alienazione di partecipazioni sociali in società a partecipazione pubblica «è fatto salvo il diritto di prelazione dei soci eventualmente previsto dalla legge o dallo statuto», ha posto il problema di verificare se ed in che termini siano conciliabili le procedure di evidenza pubblica con il rispetto delle clausole statutarie improprie, che incidono non soltanto sulla libera circolazione delle partecipazioni, ma impediscono di fatto un confronto competitivo, essendo già state definite a livello statutario le condizioni economiche della cessione. A fronte di una prima interpretazione “combinatoria” delle logiche pro-concorrenziali e quelle proprie dell’autonomia negoziale, che avevano portato a ritenere inapplicabili le clausole di prelazione statutaria improprie, il presente contributo dà conto dell’emersione di un recente orientamento giurisprudenziale opposto, che considera ammissibile l’operatività delle stesse sia nei confronti dei soci pubblici che di quelli privati. La prelazione, sia essa propria o impropria, fungerebbe infatti – secondo la ricostruzione data di recente dal Consiglio di Stato – da “barriera protettiva” per la conservazione degli equilibri societari definiti al momento della costituzione della società, impedendo il rischio di far entrare un nuovo socio, capace della migliore offerta finanziaria e dunque presumibilmente orientato al maggior profitto anziché alla cura diretta degli interessi delle collettività. L’evoluzione giurisprudenziale intervenuta costituisce l’occasione per riesaminare, alla luce dell’adozione del Testo unico delle società a partecipazione pubblica (d.lgs. n. 175/2016) e della ratio legislativa ad esso sottesa, il tema dell’intervento pubblico in economia, reso sempre più intricato dalle antinomie e dalle difficoltà ricostruttive proprie di un modello societario ibrido pubblico-privato.

 

 

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