Editoriale:
1. Per ridare slancio alla crescita economica va liberata l’iniziativa dei privati dai vincoli burocratici? È necessario, inoltre, aprire settori tradizionalmente protetti, come le professioni regolate, le farmacie, i taxi? Occorre, infine, organizzare in senso concorrenziale i servizi pubblici affidati agli enti territoriali, non ancora approdati agli assetti che hanno rivoluzionato il regime delle grandi public utilities? Queste sembrano le scelte di politica economica adottate dal governo Monti nel provvedimento disegnato per favorire la ripresa: il decreto “cresci Italia”.Tra le misure approvate e gli ambiziosi propositi perseguiti vi è una congruità piena o almeno adeguata? Questi interventi s’innestano nel solco di quelli adottati alla fine dell’estate del 2011 quando l’instabilità creditizia ha contagiato i debiti sovrani, facendo vacillare l’equilibrio della finanza pubblica italiana. È stato osservato che quelle disposizioni erano espressione più di una “retorica liberista” che norme idonee a rafforzare le libertà d’impresa. È parso servissero più a rassicurare le piazze finanziarie sulla vocazione market friendly del Paese che a far evolvere il rapporto Stato-mercato. Le misure progettate dal nuovo esecutivo, approvate dalla sua larga ed eterogenea maggioranza, presentano la medesima debolezza? Più in generale, in che modo ridisegnano la posizione dello Stato nell’economia in una fase in cui estesi fallimenti del mercato potrebbero far ricrescere l’intervento pubblico diretto? Il precedente del Ventinove e le tesi ultra-keynesiane propugnate da studiosi Nobel per l’economia impongono di non trascurare quest’aspetto…
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