Sommario:
1. Antagonismo e collaborazione nel rapporto tra amministrazione e privato. Premessa.
2. Il requisito negativo del “non avere commesso gravi illeciti professionali”.
3. “Essere o non essere?”. Le dichiarazioni circa l’inesistenza di motivi di esclusione da valutare.
4. Cambiando prospettiva. Gli obblighi informativi rispetto a elementi a sé pregiudizievoli.
5. Gli artt. 1337 e 1338 c.c. e la buona fede nella negoziazione pubblica.
6. Il contenuto degli obblighi informativi.
7. La conseguenza della violazione degli obblighi informativi. Dalla esclusione automatica alla valutazione degli indici di integrità e affidabilità.
8. Auspicabili sviluppi, al di fuori di irreali logiche collaborative.
Abstract:
The purpose of the article is to investigate the basis and scope of the principle of good faith in public procurement, with a focus on its application to the clause providing for the exclusion of companies that have committed serious professional misconduct. The question arises as to whether there is an obligation on the company to make the public authority aware of the relevant facts for the assessment and, if so, how this obligation should be combined with the opposite obligation, for the contracting authority, to research for what she needs to know. The reference to good faith in civil law, which is usual in the most recent case law, requires the position of both parties to be reconstructed in terms of mutual solidarity. More generally, the idea that award procedures can be seen as forms of “negotiation” that must adhere to certain basic unifying principles implies accepting their equal and at the same time antagonistic dimension. The consequence is that obligations (including those of good faith) operate in a regime of reciprocity and in a perspective that is far from the idea of the subjection of one party to the other and of one interest to the other. In this perspective and with this caveat, the assimilation of public negotiations to private ones can effectively contribute to deformalize procedures, without ending up accentuating its special feature and without creating undesirable spaces of uncertainty and opportunities for litigation.
Lo scritto si propone di indagare il fondamento e la portata del principio di buona fede nell’ambito della contrattazione pubblica, esaminando, in particolare, il suo rilievo a proposito dell’applicazione della clausola che prevede l’esclusione delle imprese che abbiano commesso gravi illeciti professionali. Rispetto ad essa, si pone l’esigenza di stabilire se vi sia un obbligo per l’impresa di portare a conoscenza dell’amministrazione i fatti rilevanti ai fini della valutazione e, eventualmente, come l’obbligo di informare (dell’impresa) si combini con l’obbligo di informarsi (dell’amministrazione). Il richiamo alla buona fede di stampo civilistico, comune nella giurisprudenza più recente, impone infatti di ricostruire la posizione di entrambe le parti in termini di mutua solidarietà. Più in generale l’idea che le procedure di aggiudicazione possano anche essere viste come forme di trattativa che debbono aderire ad alcuni principi di fondo unificanti, implica accettare (per quel profilo) la dimensione paritaria e al contempo antagonista della negoziazione, in cui gli obblighi (anche quelli di buona fede) operano in regime di reciprocità e in un’ottica molto lontana rispetto all’idea della soggezione dell’una parte rispetto all’altra e di un interesse rispetto all’altro. È in quest’ottica e con questo caveat che l’avvicinamento della negoziazione pubblica a quella privata può effettivamente contribuire ad una deformalizzazione delle procedure, senza finire con l’accentuare il suo tratto di specialità e senza creare indesiderabili spazi di incertezza e occasioni di contenzioso.